Editoriale Marzo 2022: Ipse dixit
Editoriale Marzo 2022
Ipse dixit
Potendo creare la mia personale chart artistica metterei sul podio più alto Marcel Duchamp, il più ecumenico e trasversale artista moderno.
Colui che ha trovato la chiave di mediazione per passare dall’arte sumera a Cattelan.
Ha rammendato con ago e filo un mondo che c’era – intendo tutto ciò che è successo prima del 1900 – con un mondo che ancora non esisteva, il nostro, quello contemporaneo.
L’uomo che ha fatto saltare il banco delle regole, il fotografo che non ha mai scattato una fotografia.
Ha fruito del messaggio fotografico decriptandone alcune deduzioni logiche quanto complesse, diventando un teorico raffinato. Ha detto cose più folgoranti di tanti fotografi che si sono solo fermati all’aspetto estetico o scesi appena sotto il pelo dell’acqua.
Sembra un ossimoro parlare di fotografia riferendosi ad un non-fotografo ma l’aspetto fattuale è che i suoi ragionamenti sono stati ripresi dagli intellettuali di tardo novecento riconoscendogli il merito d’aver dato un nuovo senso all’arte della fotografia.
Duchamp definisce la pittura “retinica”, un’arte che si ferma al percepito dalla retina, che non riesce andare oltre.
Come se la pittura fosse la rappresentazione dell’anima e dell’intimo sognare di chi la produce, e quindi svelasse già le tutte le emozioni fruibili. E continua dicendo che la fotografia, per contro, rappresenta il visibile ma permette a chi la osserva di calarsi nella quarta dimensione che non si ferma all’apparente, lasciando la libertà di interpretazione e di appropriazione emozionale.
Nel 1945 (anche se probabilmente già lo pensava dieci anni prima) modella un neologismo: infrasottile (inframince).
L’infrasottile è la percezione altra, quella distinguibile dal retinico, dall’occhio quindi, che appartiene alle sensibilità umane e si sviluppa grazie all’intelligenza e alle vibrazioni dell’anima.
Ciascun essere umano può, in base alle proprie capacità di analisi dell’intimo e del profondo, andare oltre l’immagine fotografica mettendoci del suo. Rivivendo momenti e ricordi o vecchi trascorsi, proiettandosi in una dimensione nuova e personale. Vale sia per chi la fotografia la fruisce che per l’autore stesso.
L’infrasottile è l’occhio della mente, è lo spazio tra impercettibile e distinguibile. È uno stato dell’essere, reale ma non ottico, che si coglie con la materia grigia, come dice il docente d’arte contemporanea Elio Grazioli.
Tom Robbins asseriva che c’è uno spazio sensibile tra la lettera A e la lettera B, un numero intero tra l’1 e il 2 in cui dimora un mondo di percezioni latenti, esili vibrazioni in cui trovare agio e risposte.
Duchamp ci insegna a vivere la libertà individuale di appropriarsi con i sensi di tutto ciò che esiste. Ci insegna a guardare il presente visibile e trasformarlo. Con l’opera più dibattuta della storia, l’orinatoio girato al contrario e ribattezzato “fontana”, estrapola il reale, lo defunzionalizza e lo trasforma in qualcosa di differente dalla sua natura per poterne dare un’interpretazione nuova, nasce così il ready-made (già fatto e pronto).
Anche la fotografia ha questo potenziale, prendere estratti del reale con il quale si rapporta per via diretta, per significarli in una nuova natura, proprio come un ready-made.