Editoriale Maggio 2022 – La malora di Eugenio

Editoriale maggio 2022 – La malora di Eugenio.
Atget sarà ricordato come uno storico ed urbanista, un vero romantico, un amante di Parigi, un Balzac della macchina fotografica dalla cui opera possiamo tessere un grande arazzo della civiltà francese.
Cosi scriveva una giovane Berenice Abbott, apprendista fotografa di un certo Man Ray che aveva lo studio proprio vicino a quello di Eugene Atget.
Qualcuno lo definì il clochard con la macchina fotografica. Non fu nè il primo nemmeno l’ultimo tra i grandi artisti riconosciuti tali una volta postumi.
L’understatement è un atteggiamento comune a molti, stranamente anche a grandi personaggi del mondo delle arti.
La sua vita è stata dominata dall’incertezza economica, fino alla morte, che però non limitò la capacità e la determinazione nel realizzare le sue composizioni. Usciva quasi sempre con le prime luci del mattino quando l’atmosfera si irrorava di un chiarore romantico, avvinto da quella bellezza apodittica della città appena sveglia.
Il valore della sua opera non sta certo nella prolificità, nonostante più di diecimila scatti nella sola Parigi, piuttosto nella visione poetica delle sue inquadrature, nuove per il mondo fotografico di inizio ‘900, e per una collezione di soggetti allora trascurati ma oggi consegnati alla memoria storica e collettiva.
Fu il primo fotografo a liberarsi delle convenzioni del Pittorialismo donando una nuova visione possibilista del mezzo fotografico.
Walter Benjamin scrisse di lui che era un attore che si tolse la maschera e iniziò a struccare anche la realtà.
Forse Atget era anche un poeta, anche se qualcuno non è d’accordo nel mettere sullo stesso piano il linguaggio della scrittura con quello fotografico ma, a suo modo, creava bellezza e sentimenti, e lo faceva maneggiando la luce anziché penna e carta.
Enzo Pertusio

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