Editoriale Luglio 2020: Storia di un ragazzo che non voleva più vivere
Editoriale Luglio 2020
Storia di un ragazzo che non voleva più vivere.
Mostrammo le foto di Ren Hang qualche anno fa in un pre-serata Subalpina, poco prima che si togliesse la vita.
Non c’era nulla di particolarmente audace nelle sue immagini, nulla che non fosse già stato sperimentato, ma c’era quel bisogno di eccessivo che, a posteriori, sembrerebbe quasi un urlo disperato di chi ha spento la luce dentro di se.
Le sue nudità fotografiche, accompagnate spesso da composizioni kitsch e surreali, erano la sua unica trasgressione, lui era così, viveva come in un sogno che riproponeva in immagini. Serpenti, pesci, incastri, ali di piume che si fondevano con corpi e visi di giovani uomini e donne.
Quei nudi non avevano nulla a che fare con la pornografia, non c’erano pruderie o provocazioni sessuali ma la percezione reale dell’esistenza delle persone attraverso i loro corpi nudi.
Quel tipo di erotismo si esplicitava attraverso la postura dei corpi limitati dall’inquadratura severa che lasciava presagire o intravedere amplessi, ma nulla a che vedere con la volgarità.
Era un nudo plastico da pensare come ritorno all’origine della vita. Poi ovviamente c’era la sfrontatezza di un giovane, il divertissement e la leggerezza con cui si affrontano temi importanti o fondamentali dell’esistenza.
In quella (ma anche questa) Cina formale, limitatamente incline alle libertà, quel tanto-poco che proponeva Hang era già da inquisizione mentre la percezione fuori dai confini era di un ragazzo con una grande espressività che si era levato di dosso la triste giacca maoista degli artisti di regime per indossare un boa di struzzo fucsia che avrebbe reso felice la migliore Wanda Osiris.
Gli scatti di Hang erano sospesi a metà tra il neoclassico e l’arte figurativa, tra Mapplethorpe e Araki.
Ci rimangono le sue immagini, molto fashion, molto fetish, molto “sparate” di luce ma sempre curiose e divertenti.
Peccato che sia già tutto finito.