Editoriale Febbraio 2021: Di tracotanza e speme

Editoriale febbraio 2021

Di tracotanza e speme

Comprai tanti anni fa un libro, Requiem, dedicato alle fotografie della guerra indocinese, ma nella fattispecie ai fotografi caduti durante quel conflitto, una decade di orrori che si trasposero, e si conclusero, nella metà degli anni 70 con la caduta di Saigon e la fine della guerra in Vietnam.
135 reporter dilaniati nelle più atroci battaglie ormai mitizzate nella storia dei conflitti più efferati di tutti i tempi.
Ovviamente è Capa il riferimento che ti aspetti, anche lui presente nel novero di quei 135, lui che è stato assurto a capofila di quella stirpe, identificato come il reporter in pectore, la vittima sacrificale che toglie i peccati dal mondo.
Non che il mondo mainstream abbia chiesto scusa per un eccidio che si protrae dalla notte dei tempi, perché l’aspetto fattuale è che se vai dove sparano prima o poi sparano anche a te, ma senza i reportage e la testimonianza di quei fotografi oggi la storia l’avremmo conosciuta in maniera differente, a spizzichi e bocconi, magari difforme dalla realtà.
La storia la scrivono i vincitori, che non è detto siano i buoni. Ecco qual è il senso dell’impegno di quei professionisti, a costo della vita: capire chi sono i buoni, ammesso ce ne siano.
Quale eredità hanno lasciato quei reporter? Uno, fondamentale, è che la guerra non e’ buona perché produce ricchezza per qualcuno ma a scapito della sofferenza umana. Potrebbe bastare.
Scianna riassumeva il concetto del …non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te… ma funziona solo nei libri sacri.
James Nachtwey dichiarava qualche tempo fa che il suo credo era guidato dalla convinzione che una fotografia che riveli il vero volto della guerra sia una fotografia, per definizione, contro-la-guerra.
Oggi la musica se è cambiata è solo negli arrangiamenti. Si continuano a fare foto e si continua a morire nel silenzio o tra gli sbadigli, è cambiata solo la velocità con la quale veniamo a saperlo.
Se sei famoso in quel mondo fotografico lì, qualcuno ti cita o scrive un trafiletto, altrimenti ciao balle, diventi solo una croce su un elenco.
C’è questo dittico tragicamente bello, datato 1965, della reporter Dickey Chapelle con la sua Leica tenuta tra le mani, i capelli raccolti, la divisa e gli inseparabili orecchini di perle. L’altra immagine del dittico la vede sempre protagonista, ma in una pozza di sangue con il collo straziato da una scheggia, e il cappellano inginocchiato intento a darle l’estrema unzione. Si vedono anche in quello scatto gli orecchini, unico vezzo femminile che si concesse fino all’ultimo.
Vermeer l’avrebbe presa a modello – la ragazza con gli orecchini di perla – ma in fondo era solo una ragazza che credeva in qualcosa ed è morta per quello.

Enzo Pertusio

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