Editoriale Dicembre 2019: Fuck off and die
Editoriale di Dicembre
Fuck off and die.
Sembrerebbe il titolo di un’opera di Duchamp o Cattelan, invece è la storia acerba e sconclusionata di due adolescenti che ne fanno di ogni per finire nei guai.
Non è arte avanguardista ma molto più semplicemente una serie tv. Fuck off and die è l’augurio che uno degli attori proferisce ad un altro in uno dei tanti momenti surreali della trama.
Il titolo non è questo ma non ha importanza, il nesso è importante, c’entra la fotografia.
La fotografia di fatto c’entra sempre nella vita, ogni volta che apri gli occhi e inizi a vedere: c’è fotografia. Sul tram, in coda al casello, al supermercato o guardando la televisione, anche quando gli occhi son chiusi c’è fotografia. La fotografia non è solo quella che vediamo e scattiamo ma quella che immaginiamo.
Registi e produttori hanno il loro bel da fare a creare immagini, in fondo l’immagine è il linguaggio più forte, immediato e comprensibile da chiunque, è la prima relazione che articoliamo con il mondo quando nasciamo.
Torniamo sulla serie tv. Parlavamo di Fuck off and die. C’è un’immagine meravigliosa del protagonista maschile di notte in un bosco. L’esposizione è perfetta, si intravedono gli alberi, un sentiero, l’atmosfera è dark, i colori saturi, lui scende dal viottolo e si ferma, fissa in camera e si blocca come se si mettesse in posa per una foto, e in quel momento tutto è perfetto, lui nella penombra immerso nel buio, appartiene alla notte.
In quella serie, ma non solo in quella, c’è tanta di quella fotografia che servirebbe un’enciclopedia per archiviarla tutta. Il finale è un altro scatto memorabile, c’è una verde vallata con i due protagonisti sulla sommità di una collina di schiena mentre contemplano quella parte di sconfinato creato.
Avrebbe potuto farla un Martin Parr ispirato quella foto. Avrebbe studiato la luce, dato la giusta vita a quei colori, guardato quell’orizzonte, scattato la fotografia e detto: fuck off and die! E’ quello l’ultimo snapshot rimastomi negli occhi, poi ho spento la tivù.
Enzo Pertusio